Valle
del Sacco, cent'anni di veleni:nell'area più inquinanti che intorno
all'Ilva
ROMA - Il sequestro
dell'Italcementi a Colleferro, quattro anni dopo i sigilli apposti al grande
inceneritore nello stesso comune, riaccende i riflettori sulla «valle dei
veleni». Nel corso di un secolo l'industrializzazione selvaggia ha compromesso
il territorio attraversato dal fiume Sacco e la sua popolazione: qui infatti,
sin dal 1912, è presente l'industria bellica. La stessa che, negli anni '80,
arrivò ad aiutare il dittatore Saddam Hussein. E ancor oggi prosegue la
produzione a servizio della chimica di guerra, ma il segreto militare resta
impenetrabile e non consente di offrire le reali dimensioni del fenomeno.
Sulla Valle del Sacco insiste poi l'impatto
dell'impianto per il trattamento dei rifiuti bloccato dal Noe dei carabinieri
nel 2009, nonché quello della produzione di un insetticida (vietato solo dal
2001) finito nel foraggio e nel latte crudo di 32 aziende bovine e 9 ovine:
indagini epidemiologiche analizzano da tempo sospette morie di bestiame e di
pesci nel fiume, nonchè numerosi casi di
tumori nella popolazione. Con un inquinamento ambientale che, nel complesso, potrebbe
superare quello contestato intorno all'Ilva di Taranto.
ANIMALI ABBATTUTI - I veleni confluiti dai
terreni dell'azienda che produceva l'antiparassitario nel suolo e nelle acque,
come rilevò l'Istituto zooprofilattico, confluirono nel fiume che distrusse ciò
che attraversava: 32 aziende bovine, una bufalina e 9 ovine vicine a dove era
stato riscontrato il primo campione positivo, presentavano altre positività e
la molecola incriminata venne rilevata anche nei foraggi per l’alimentazione
animale. Con l'amministrazione Marrazzo venne dichiarato lo stato di emergenza:
venne istituito un commissario ad hoc e furono abbattuti in via cautelativa
6000 capi di bestiame mettendo in ginocchio la zootecnia della Valle. Partono
anche le prime bonifiche dei siti inquinati. Ad oggi la contaminazione dell'area
perimetrata ed oggetto degli interventi, si sarebbe ridotta «tra il 30 ed il
40% rispetto ai valori iniziali (fonte: assessorato all'ambiente, agosto
2012)».
Colleferro e la Valle del Sacco Dopo i
danni ambientali, le beffe
Da più di un secolo la Valle del Sacco è vittima
di quello che si potrebbe chiamare accanimento industriale e chimico senza
tregua. Dalle industrie belliche del 1912, per la produzione di munizioni e
armi chimiche, alle industrie chimiche per la produzione di insetticidi, dall’Italcementi
agli inceneritori e alla discarica, dall’impianto a turbogas alle aziende
aerospaziali. La contaminazione dei terreni per la produzione agricola e
animale da β-HCH (beta-esaclorocicloesano), sottoprodotto della produzione del
DDT, è l’evento più noto. Ma i casi di inquinamento sono molti come pure gli
esposti fatti negli anni. Oggi però la Valle del Sacco potrebbe vivere
l’ennesimo episodio di oltraggio al territorio. Questa volta non direttamente
causato dalle industrie o dagli inceneritori che si sono via via nel tempo
accaniti sulla regione, ma dalla lentezza giudiziaria che potrebbe portare in
prescrizione i procedimenti penali. Altro danno che la Valle del Sacco ha
subito è il declassamento da sito di interesse nazionale (SIN) a regionale per
le bonifiche. In seguito al decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del Territorio e del Mare datato 11 gennaio 2013 le bonifiche della Valle del
Sacco sono passate
di competenza regionale. Con un atto amministrativo lo Stato Italiano ha
gettato la spugna dimostrando sia il completo
fallimento del sistema delle bonifiche sia il suo disinteresse. Di contro, uno
studio epidemiologico sui tumori infantili del 2012, pubblicato il 17 ottobre
scorso evidenzia dei dati allarmanti.
La discarica di Malagrotta
Sette persone sono state arrestate a seguito di un’inchiesta sulla gestione
dei rifiuti nella
regione Lazio, focalizzata in
particolare sulla discarica di Malagrotta, alle
porte diRoma. Gli
agenti del Nucleo operativo ecologico (Noe) dei
Carabinieri della capitale hanno posto agli arresti domiciliari fra gli altri
l’imprenditore Manlio Cerroni (86 anni), proprietario dell’area
della discarica e noto come patron di Malagrotta, e Bruno
Landi, ex presidente della regione Lazio in carica negli anni
‘90. Dovranno rispondere alle
accuse di associazione a delinquere finalizzata
al traffico di rifiuti: tonnellate
di raccolta differenziata, mai trattata, sono finite nella discarica in mezzo
agli altri rifiuti, nonostante l’impianto abbia incassassero diversi milioni di
euro per il loro corretto smaltimento. I 240 ettari della discarica più grande d’Europa – definita anche la maglia nera del Paese – hanno raccolto quasi 5mila
tonnellate di rifiuti al giorno, provenienti dalla città di Roma e da parte
della sua provincia, inclusi i rifiuti speciali degli aeroporti di Ciampino e
Fiumicino.La discarica, che fu aperta nel 1974, è stata chiusa
ufficialmente lo
scorso 1 ottobre 2013 dal sindaco di Roma Ignazio
Marino e dal
governatore della regione Lazio Nicola Zingaretti, anche se una
prima chiusura era già stata ipotizzata prima per il 2004 e poi per la fine del
2007. Il 31 maggio 2013, infine, l’Italia
ha ricevuto un’ammonizione dalla Commissione europea per trattamento
inadeguato dei rifiuti smaltiti nella discarica, perché le misure per ridurre i danni
all’ambiente e
alla salute umana sono risultate insufficienti,
nonostante fossero stati realizzati piccoli interventi di riqualificazione energetica. Risale ad aprile 2013 uno studio promosso dal programma Eras Lazio, il cui
obiettivo era dare una valutazione epidemiologica dello stato di salute di
85mila residenti da almeno 5 anni nell’area di 50 chilometri quadrati a sud-ovest
di Roma, oltre in Grande Raccordo Anulare. Pur avendo “evidenziato un quadro di mortalità [...] in gran
parte paragonabile con quello osservato nella popolazione riferimento”,
sono emersi “alcuni eccessi di rischio
degni di nota, in particolare per malattie respiratorie, cardiovascolari e per
alcune forme tumorali”. Nella stessa
area, però, oltre alla discarica sono presenti una raffineria,
un inceneritore (con termovalorizzatore) di rifiuti
ospedalieri e farmaci scaduti, oltre che alcuni depositi di idrocarburi. Difficile capire,
quindi, quale sia la vera causa. Per le donne, tuttavia, è stata trovata una correlazione tra la
vicinanza alla discarica e la maggiore frequenza di tumori della laringe e della vescica, oltre che di malattie
dell’apparato circolatorio. Un’altra
ricerca,
pubblicata nel 1998 sulla rivista Occupational
& Enviromental Medicine aveva
indagato la stessa area di Malagrotta, giungendo a conclusioni simili. In
questo caso l’unico dato anomalo registrato era un lieve aumento dell’incidenza
del tumore alla laringe, più
spiccato per i residenti a meno di 3 chilometri dalla discarica. A cui si
aggiunge, per le sole donne, una più alta frequenza di tumori
ai reni. Molte meno informazioni sono invece disponibili
riguardo al danno ambientale dovuto alla presenza di una discarica
ormai satura da anni. Già nel 1999 l’allora Ministro
dell’Interno Rosa Russo Jervolino, il Presidente della Regione Lazio Piero
Badaloni, e il Sindaco di Roma Francesco Rutelli avevano denunciato “uno stato di pericolosità
socio-ambientale dovuto al possibile mancato smaltimento
dei rifiuti prodotti“.L’Eurispes, nel Rapporto
Italia 2008,
ha affrontato ampiamente la questione Malagrotta, riconoscendo che “molto spesso è evidente una carenza di
informazioni che riguardano sia gli aspetti tecnici sia le implicazioni per la
salute, per l’ambiente e per la qualità della vita“.
Nonostante questo, il rapporto evidenzia che “la presenza simultanea di numerose attività di vario genere [...] ha
determinato nei decenni trascorsi le condizioni per un progressivo
decadimento della qualità ambientale“. Ma non solo: “molti di questi danni rilevati sono riportabili
direttamente alla presenza della discarica, come ad esempio il danno da
percolato“.Questo liquame, derivante dalla decomposizione del
materiale organico, “è penetrato
nel suolo, ha
attraversato lo strato insaturo in modo verticale, è arrivato allo strato
saturo ed ha camminato sino alla falda, inquinandola. Inoltre si è mescolato con i
fanghi residui degli impianti di depurazione di Roma“. La
normativa in vigore prevede che i fanghi debbano essere essiccati prima di
essere stipati definitivamente nella discarica. Un processo che a
Malagrotta non avviene, perché “i fanghi
si mescolano con il percolato, con le piogge e si depositano sul fondo
della vasca“. Tra l’altro, l’abbassamento delle colline di
rifiuti, causato dalla compressione dovuta al loro stesso peso, genera
delle conche che sprofondano di
circa un metro ogni anno, le quali poi si riempiono di
acqua piovana stagnante e diventano la meta delle colonie di uccelli migratori.
Sempre nello stesso rapporto Eurispes si legge di un’analisi – effettuata nel
2000 – che aveva già dimostrato la fuoriuscita del percolato dalla discarica e la contaminazione delle acque di falda.
Dallo stesso documento emerge anche un’altro aspetto preoccupante: la
diffusione non controllata del biogas di origine batterica che si genera
nella discarica. I 30mila metri cubi di gas infiammabili, tossici e di odore
sgradevole prodotti dai rifiuti di un solo giorno potrebbero non essere
adeguatamente trattati. Infatti “la
presenza di esalazioni maleodoranti fa pensare ad una mancata captazione del
biogas prodotto dai rifiuti o ad una cattiva procedura di captazione“.
L’Eurispes riporta infine che, nell’ambito dei sopralluoghi della
magistratura eseguiti nel 2000, si era concluso che “una gran parte del biogas viene ad immettersi
in atmosfera, determinando
le emissioni odorifere e danni alla vegetazione“.
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