giovedì 20 febbraio 2014

Inquinamento... un mostro che nuoce la salute



Valle del Sacco, cent'anni di veleni:nell'area più inquinanti che intorno all'Ilva 
ROMA - Il sequestro dell'Italcementi a Colleferro, quattro anni dopo i sigilli apposti al grande inceneritore nello stesso comune, riaccende i riflettori sulla «valle dei veleni». Nel corso di un secolo l'industrializzazione selvaggia ha compromesso il territorio attraversato dal fiume Sacco e la sua popolazione: qui infatti, sin dal 1912, è presente l'industria bellica. La stessa che, negli anni '80, arrivò ad aiutare il dittatore Saddam Hussein. E ancor oggi prosegue la produzione a servizio della chimica di guerra, ma il segreto militare resta impenetrabile e non consente di offrire      le reali dimensioni del fenomeno. 
Sulla Valle del Sacco insiste poi l'impatto dell'impianto per il trattamento dei rifiuti bloccato dal Noe dei carabinieri nel 2009, nonché quello della produzione di un insetticida (vietato solo dal 2001) finito nel foraggio e nel latte crudo di 32 aziende bovine e 9 ovine: indagini epidemiologiche analizzano da tempo sospette morie di bestiame e di pesci nel fiume, nonchè numerosi  casi di tumori nella popolazione. Con un inquinamento ambientale che, nel complesso, potrebbe superare quello contestato intorno all'Ilva di Taranto.
ANIMALI ABBATTUTI - I veleni confluiti dai terreni dell'azienda che produceva l'antiparassitario nel suolo e nelle acque, come rilevò l'Istituto zooprofilattico, confluirono nel fiume che distrusse ciò che attraversava: 32 aziende bovine, una bufalina e 9 ovine vicine a dove era stato riscontrato il primo campione positivo, presentavano altre positività e la molecola incriminata venne rilevata anche nei foraggi per l’alimentazione animale. Con l'amministrazione Marrazzo venne dichiarato lo stato di emergenza: venne istituito un commissario ad hoc e furono abbattuti in via cautelativa 6000 capi di bestiame mettendo in ginocchio la zootecnia della Valle. Partono anche le prime bonifiche dei siti inquinati. Ad oggi la contaminazione dell'area perimetrata ed oggetto degli interventi, si sarebbe ridotta «tra il 30 ed il 40% rispetto ai valori iniziali (fonte: assessorato all'ambiente, agosto 2012)».

Colleferro e la Valle del Sacco Dopo i danni ambientali, le beffe

Da più di un secolo la Valle del Sacco è vittima di quello che si potrebbe chiamare accanimento industriale e chimico senza tregua. Dalle industrie belliche del 1912, per la produzione di munizioni e armi chimiche, alle industrie chimiche per la produzione di insetticidi, dall’Italcementi agli inceneritori e alla discarica, dall’impianto a turbogas alle aziende aerospaziali. La contaminazione dei terreni per la produzione agricola e animale da β-HCH (beta-esaclorocicloesano), sottoprodotto della produzione del DDT, è l’evento più noto. Ma i casi di inquinamento sono molti come pure gli esposti fatti negli anni. Oggi però la Valle del Sacco potrebbe vivere l’ennesimo episodio di oltraggio al territorio. Questa volta non direttamente causato dalle industrie o dagli inceneritori che si sono via via nel tempo accaniti sulla regione, ma dalla lentezza giudiziaria che potrebbe portare in prescrizione i procedimenti penali. Altro danno che la Valle del Sacco ha subito è il declassamento da sito di interesse nazionale (SIN) a regionale per le bonifiche. In seguito al decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare datato 11 gennaio 2013 le bonifiche della Valle del Sacco sono passate di competenza regionale. Con un atto amministrativo lo Stato Italiano ha gettato la spugna dimostrando sia il completo fallimento del sistema delle bonifiche sia il suo disinteresse. Di contro, uno studio epidemiologico sui tumori infantili del 2012, pubblicato il 17 ottobre scorso evidenzia dei dati allarmanti.  

La discarica di Malagrotta

Sette persone sono state arrestate a seguito di un’inchiesta sulla gestione dei rifiuti nella regione Lazio, focalizzata in particolare sulla discarica di Malagrotta, alle porte diRoma. Gli agenti del Nucleo operativo ecologico (Noe) dei Carabinieri della capitale hanno posto agli arresti domiciliari fra gli altri l’imprenditore Manlio Cerroni (86 anni), proprietario dell’area della discarica e noto come patron di Malagrotta, e Bruno Landi, ex presidente della regione Lazio in carica negli anni ‘90. Dovranno rispondere alle accuse di associazione a delinquere finalizzata al traffico di rifiuti: tonnellate di raccolta differenziata, mai trattata, sono finite nella discarica in mezzo agli altri rifiuti, nonostante l’impianto abbia incassassero diversi milioni di euro per il loro corretto smaltimento. I 240 ettari della discarica più grande d’Europa – definita anche la maglia nera del Paese – hanno raccolto quasi 5mila tonnellate di rifiuti al giorno, provenienti dalla città di Roma e da parte della sua provincia, inclusi i rifiuti speciali degli aeroporti di Ciampino e Fiumicino.La discarica, che fu aperta nel 1974, è stata chiusa ufficialmente lo scorso 1 ottobre 2013 dal sindaco di Roma Ignazio Marino e dal governatore della regione Lazio Nicola Zingaretti, anche se una prima chiusura era già stata ipotizzata prima per il 2004 e poi per la fine del 2007. Il 31 maggio 2013, infine, l’Italia ha ricevuto un’ammonizione dalla Commissione europea per trattamento inadeguato dei rifiuti smaltiti nella discarica, perché le misure per ridurre i danni all’ambiente e alla salute umana sono risultate insufficienti, nonostante fossero stati realizzati piccoli interventi di riqualificazione energetica. Risale ad aprile 2013 uno studio promosso dal programma Eras Lazio, il cui obiettivo era dare una valutazione epidemiologica dello stato di salute di 85mila residenti da almeno 5 anni nell’area di 50 chilometri quadrati a sud-ovest di Roma, oltre in Grande Raccordo Anulare. Pur avendo “evidenziato un quadro di mortalità [...] in gran parte paragonabile con quello osservato nella popolazione riferimento”, sono emersi “alcuni eccessi di rischio degni di nota, in particolare per malattie respiratorie, cardiovascolari e per alcune forme tumorali”. Nella stessa area, però, oltre alla discarica sono presenti una raffineria, un inceneritore (con termovalorizzatore) di rifiuti ospedalieri e farmaci scaduti, oltre che alcuni depositi di idrocarburi. Difficile capire, quindi, quale sia la vera causa. Per le donne, tuttavia, è stata trovata una correlazione tra la vicinanza alla discarica e la maggiore frequenza di tumori della laringe e della vescica, oltre che di malattie dell’apparato circolatorio. Un’altra ricerca, pubblicata nel 1998 sulla rivista Occupational & Enviromental Medicine aveva indagato la stessa area di Malagrotta, giungendo a conclusioni simili. In questo caso l’unico dato anomalo registrato era un lieve aumento dell’incidenza del tumore alla laringe, più spiccato per i residenti a meno di 3 chilometri dalla discarica. A cui si aggiunge, per le sole donne, una più alta frequenza di tumori ai reni. Molte meno informazioni sono invece disponibili riguardo al danno ambientale dovuto alla presenza di una discarica ormai satura da anni. Già nel 1999 l’allora Ministro dell’Interno Rosa Russo Jervolino, il Presidente della Regione Lazio Piero Badaloni, e il Sindaco di Roma Francesco Rutelli avevano denunciato “uno stato di pericolosità socio-ambientale dovuto al possibile mancato smaltimento dei rifiuti prodotti“.L’Eurispes, nel Rapporto Italia 2008, ha affrontato ampiamente la questione Malagrotta, riconoscendo che “molto spesso è evidente una carenza di informazioni che riguardano sia gli aspetti tecnici sia le implicazioni per la salute, per l’ambiente e per la qualità della vita“. Nonostante questo, il rapporto evidenzia che “la presenza simultanea di numerose attività di vario genere [...] ha determinato nei decenni trascorsi le condizioni per un progressivo decadimento della qualità ambientale“. Ma non solo: “molti di questi danni rilevati sono riportabili direttamente alla presenza della discarica, come ad esempio il danno da percolato“.Questo liquame, derivante dalla decomposizione del materiale organico, “è penetrato nel suolo, ha attraversato lo strato insaturo in modo verticale, è arrivato allo strato saturo ed ha camminato sino alla falda, inquinandola. Inoltre si è mescolato con i fanghi residui degli impianti di depurazione di Roma“. La normativa in vigore prevede che i fanghi debbano essere essiccati prima di essere stipati definitivamente nella discarica. Un processo che a Malagrotta non avviene, perché “i fanghi si mescolano con il percolato, con le piogge e si depositano sul fondo della vasca“. Tra l’altro, l’abbassamento delle colline di rifiuti, causato dalla compressione dovuta al loro stesso peso, genera delle conche che sprofondano di circa un metro ogni anno, le quali poi si riempiono di acqua piovana stagnante e diventano la meta delle colonie di uccelli migratori. Sempre nello stesso rapporto Eurispes si legge di un’analisi – effettuata nel 2000 – che aveva già dimostrato la fuoriuscita del percolato dalla discarica e la contaminazione delle acque di falda. Dallo stesso documento emerge anche un’altro aspetto preoccupante: la diffusione non controllata del biogas di origine batterica che si genera nella discarica. I 30mila metri cubi di gas infiammabili, tossici e di odore sgradevole prodotti dai rifiuti di un solo giorno potrebbero non essere adeguatamente trattati. Infatti “la presenza di esalazioni maleodoranti fa pensare ad una mancata captazione del biogas prodotto dai rifiuti o ad una cattiva procedura di captazione“.  L’Eurispes riporta infine che, nell’ambito dei sopralluoghi della magistratura eseguiti nel 2000, si era concluso che “una gran parte del biogas viene ad immettersi in atmosfera, determinando le emissioni odorifere e danni alla vegetazione“.


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