lunedì 8 aprile 2013

IO NEI PANNI DI UN EBREO


-Forza sbrigatevi! Salite! Prendete poche cose!! Forza sbrigatevi stiamo solo perdendo tempo-Sentire tutte quelle voci che urlano, mi fa incuriosire. Mi affaccio alla finestra e vedo dei grandi camion verdi pieni di persone che urlano e piangono, dei soldati dall’aria crudele bussano a tutte le porte delle casa del mio quartiere. Ecco stanno venendo a bussare alla mia porta e mio padre va ad aprire. Alla porta c’è un grande uomo pieno di  rabbia e crudeltà che con voce cupa dice:-Forza! Prendete qualche vestito e andiamo che dobbiamo partire!-- Ma dove andiamo?- disse mio padre impaurito-Non sono affari tuoi! Zitto e sbrigati!-Mia madre sale di corsa su in camera e prende le cose essenziali, per pochi giorni.Scendiamo e il soldato è ancora lì ad aspettarci, con crudeltà chiude la porta e ci prende e ci scaraventa dentro un grande camion, dove sono già decine di persone. Tra la folla trovo un mio amico che con il violino in mano cerca di suonare qualche nota per cercare di rallegrare l’atmosfera. Ma niente da fare, l’aria è piena di tristezza e paura, anche delle note dolci non riescono ad portare un po’ di felicità .Dopo pochi minuti, il camion si ferma insieme a tutti gli altri. Ci fanno scendere, davanti la stazione e ci fanno salire su un treno lurido e sporco.Sullo sfondo, si vedono delle piccole finestrelle dove passa un minimo di aria per rinfrescare quell’ambiente sporco e pieno di batteri. Più avanti, ci sono degli enormi barili ammuffiti dove bisogna fare i propri bisogni. In primo piano, ci sono delle balle di fieno, dove erano sedute centinaia di persone impaurite.Su quel treno, ho visto cose che un bambino di tredici anni non dovrebbe vedere. In quella carrozza passiamo due settimane, senza cibo né acqua, in condizioni igieniche pietose.Finalmente il treno si ferma e inizio a sentire delle voci strane che gridano parole, per me senza senso. Il treno entra in un posto cupo e pauroso, dove sul cancello di entrata c’è scritto: “IL LAVORO RENDE LIBERI”. Entrati, dei soldati tedeschi assaltano il treno e iniziano a dividere le donne con gli uomini. Io sono con mio padre, mentre mia madre è con mia nonna e con mia zia.Ci portano in una baracca, dove si trovavano circa un migliaio di persone, sedute sui dei grandi letti: sono scarne, impaurite e indossano dei lunghi pigiami a righe blu e bianchi con dei numeri stampati sopra.Una guardia ci viene incontro e prende le nostre valigie e consegna anche a  noi un pigiama a righe, lurido e puzzolente. Indossate le divise, ci portano in una stanza dall’aria triste, dove con ferro e fuoco ci marcano un numero sul braccio. Io ho il numero 145934, mentre mio padre ha il numero 145935. E così, noi abbiamo perso l’identità, perché da adesso in poi noi saremo 145934 e 145935. Chissà mia madre che numero ha… Da quando ci siamo lasciati non faccio altro che pensare come sta e con chi è e soprattutto se è ancora viva.E’ buio ormai e andiamo a dormire in quella lurida baracca insieme alle altre persone che sono state portate lì insieme a noi.-Forza svegliatevi! Datevi una mossa! Qui non si sta giocando!-Una voce improvvisa rompe il silenzio del mattino. Con un balzo, scendiamo dal letto scricchiolante e la guardia inizia a fare l’appello. Poi ci porta immediatamente in un enorme capannone, dove ci sono altre migliaia di persone che lavorano il ferro .-Forza lavorate! Voi siete un razza inferiore e quindi dovete ubbidire ai nostri comandi!-E ci mettiamo subito al lavoro, anche se non sappiamo cosa fare. In quel momento, capiamo che per noi non c’é speranza e forse non usciremo mai usciti da quel posto che all’inizio definito una vacanza regalo.Tutti i giorni è la stessa storia: ci alziamo all’alba, andiamo a lavorare e la sera infine ci danno 25g di pane per uno, le condizioni igieniche come sempre sono pietose, non facciamo la doccia da circa un mese.Un giorno, ci chiamano e ci portano in una grande sala dove un dottore ci inizia a visitare. Passa per ogni detenuto, facendo sempre le stesse domande e visitandoci, guardandoci dappeertutto, per vedere se siamo sani e forti e se riusciamo a lavorare sotto una temperatura di -20 C°.Rientriamo nella baracca, ma mi trovo da solo: mio padre non è tornato. Mille domande su come e dove sia  mio padre assalgono la mia mente. Ho  paura che non tornerà più, ma io non mollo e spero che sia ancora vivo.Un mio amico che si trova insieme a me, dice con voce impaurita “che alcuni deportati non ce l’hanno fatta, tra cui due signori portati qui con l’ultimo treno”Del treno che mi ha condotto qui, mancano solo 2 persone: mio zio e mio padre. Sentire quelle parole mi mette ancora più ansia e ormai la mia vita è finita, ho perso la persone più care della mia vita, anche se non so se mia madre e mia zia sono ancora vive.E’ l’alba e di nuovo le guardie ci vengono a chiamare, non ho dormito per tutta la notte, per i continui pensieri che assalgono la mia testa. La giornata si ripete lavoro, lavoro e ancora lavoro. E cosi per altri tre mesi, tre mesi infiniti, lunghi, pieni di sofferenza, di dolore e paura e con il pensiero che  non potrai uscire vivo.Un boato rompe il silenzio della notte e ci alziamo per paura che sono i soldati tedeschi che ci bombardano. Ernesto, un uomo che si trova nella baracca, esce nel cortile per vedere cosa succede. E rientra dicendo con il fiato in gola:-Ragazzi! Stiamo per essere liberati! Forza usciamo!-Seguiamo Ernesto che di corsa esce fuori dal cortile e vediamo i soldati tedeschi che scappano salendo su camion, aerei e macchine. E da lì capiamo che abbiamo una speranza per vivere. In  lontananza, vediamo un’ ombra, un’ ombra grande che ci porta speranza. Più si avvicina, più capiamo che per noi la sofferenza è terminata. Sono gli americani li riconosco dalla bandiera, si avvicinano verso di noi  con un grande carro armato urlano:-Oh my god! Lets go! Lets go!- Sentire quelle parole ci mette speranza e senza parlare andiamo verso l’uscita. Sento delle voci che urlano il mio nome e una persona che mi viene in contro. E’ mio padre, forse è un sogno, ma forse no è la realtà è un miracolo di Dio che ci assiste anche nei momenti di dolore. Da quel momento tutto : è finito, tutto è cambiato e io sono ritornato a vivere senza nessuna paura.

Giorgia Quaresima
Federico Paoliani

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