-Forza
sbrigatevi! Salite! Prendete poche cose!! Forza sbrigatevi stiamo solo perdendo
tempo-Sentire
tutte quelle voci che urlano, mi fa incuriosire. Mi affaccio alla finestra e
vedo dei grandi camion verdi pieni di persone che urlano e piangono, dei
soldati dall’aria crudele bussano a tutte le porte delle casa del mio
quartiere. Ecco stanno venendo a bussare alla mia porta e mio padre va ad
aprire. Alla porta c’è un grande uomo pieno di
rabbia e crudeltà che con voce cupa dice:-Forza!
Prendete qualche vestito e andiamo che dobbiamo partire!--
Ma dove andiamo?- disse mio padre impaurito-Non
sono affari tuoi! Zitto e sbrigati!-Mia
madre sale di corsa su in camera e prende le cose essenziali, per pochi giorni.Scendiamo
e il soldato è ancora lì ad aspettarci, con crudeltà chiude la porta e ci
prende e ci scaraventa dentro un grande camion, dove sono già decine di
persone. Tra la folla trovo un mio amico che con il violino in mano cerca di
suonare qualche nota per cercare di rallegrare l’atmosfera. Ma niente da fare,
l’aria è piena di tristezza e paura, anche delle note dolci non riescono ad
portare un po’ di felicità .Dopo
pochi minuti, il camion si ferma insieme a tutti gli altri. Ci fanno scendere,
davanti la stazione e ci fanno salire su un treno lurido e sporco.Sullo
sfondo, si vedono delle piccole finestrelle dove passa un minimo di aria per
rinfrescare quell’ambiente sporco e pieno di batteri. Più avanti, ci sono degli
enormi barili ammuffiti dove bisogna fare i propri bisogni. In primo piano, ci
sono delle balle di fieno, dove erano sedute centinaia di persone impaurite.Su
quel treno, ho visto cose che un bambino di tredici anni non dovrebbe vedere.
In quella carrozza passiamo due settimane, senza cibo né acqua, in condizioni
igieniche pietose.Finalmente
il treno si ferma e inizio a sentire delle voci strane che gridano parole, per
me senza senso. Il treno entra in un posto cupo e pauroso, dove sul cancello di
entrata c’è scritto: “IL LAVORO RENDE LIBERI”. Entrati, dei soldati tedeschi
assaltano il treno e iniziano a dividere le donne con gli uomini. Io sono con
mio padre, mentre mia madre è con mia nonna e con mia zia.Ci
portano in una baracca, dove si trovavano circa un migliaio di persone, sedute
sui dei grandi letti: sono scarne, impaurite e indossano dei lunghi pigiami a
righe blu e bianchi con dei numeri stampati sopra.Una
guardia ci viene incontro e prende le nostre valigie e consegna anche a noi un pigiama a righe, lurido e puzzolente.
Indossate le divise, ci portano in una stanza dall’aria triste, dove con ferro
e fuoco ci marcano un numero sul braccio. Io ho il numero 145934, mentre mio
padre ha il numero 145935. E così, noi abbiamo perso l’identità, perché da
adesso in poi noi saremo 145934 e 145935. Chissà mia madre che numero ha… Da
quando ci siamo lasciati non faccio altro che pensare come sta e con chi è e
soprattutto se è ancora viva.E’
buio ormai e andiamo a dormire in quella lurida baracca insieme alle altre
persone che sono state portate lì insieme a noi.-Forza
svegliatevi! Datevi una mossa! Qui non si sta giocando!-Una
voce improvvisa rompe il silenzio del mattino. Con un balzo, scendiamo dal
letto scricchiolante e la guardia inizia a fare l’appello. Poi ci porta
immediatamente in un enorme capannone, dove ci sono altre migliaia di persone
che lavorano il ferro .-Forza
lavorate! Voi siete un razza inferiore e quindi dovete ubbidire ai nostri
comandi!-E
ci mettiamo subito al lavoro, anche se non sappiamo cosa fare. In quel momento,
capiamo che per noi non c’é speranza e forse non usciremo mai usciti da quel
posto che all’inizio definito una vacanza regalo.Tutti
i giorni è la stessa storia: ci alziamo all’alba, andiamo a lavorare e la sera
infine ci danno 25g di pane per uno, le condizioni igieniche come sempre sono
pietose, non facciamo la doccia da circa un mese.Un
giorno, ci chiamano e ci portano in una grande sala dove un dottore ci inizia a
visitare. Passa per ogni detenuto, facendo sempre le stesse domande e
visitandoci, guardandoci dappeertutto, per vedere se siamo sani e forti e se
riusciamo a lavorare sotto una temperatura di -20 C°.Rientriamo
nella baracca, ma mi trovo da solo: mio padre non è tornato. Mille domande su
come e dove sia mio padre assalgono la
mia mente. Ho paura che non tornerà più,
ma io non mollo e spero che sia ancora vivo.Un
mio amico che si trova insieme a me, dice con voce impaurita “che alcuni
deportati non ce l’hanno fatta, tra cui due signori portati qui con l’ultimo
treno”Del
treno che mi ha condotto qui, mancano solo 2 persone: mio zio e mio padre.
Sentire quelle parole mi mette ancora più ansia e ormai la mia vita è finita,
ho perso la persone più care della mia vita, anche se non so se mia madre e mia
zia sono ancora vive.E’
l’alba e di nuovo le guardie ci vengono a chiamare, non ho dormito per tutta la
notte, per i continui pensieri che assalgono la mia testa. La giornata si ripete lavoro, lavoro e ancora
lavoro. E cosi per altri tre mesi, tre mesi infiniti, lunghi, pieni di sofferenza,
di dolore e paura e con il pensiero che
non potrai uscire vivo.Un
boato rompe il silenzio della notte e ci alziamo per paura che sono i soldati
tedeschi che ci bombardano. Ernesto, un uomo che si trova nella baracca, esce
nel cortile per vedere cosa succede. E rientra dicendo con il fiato in gola:-Ragazzi!
Stiamo per essere liberati! Forza usciamo!-Seguiamo Ernesto che di corsa esce fuori dal cortile e
vediamo i soldati tedeschi che scappano salendo su camion, aerei e macchine. E
da lì capiamo che abbiamo una speranza per vivere. In lontananza, vediamo un’ ombra, un’ ombra
grande che ci porta speranza. Più si avvicina, più capiamo che per noi la
sofferenza è terminata. Sono gli americani li riconosco dalla bandiera, si
avvicinano verso di noi con un grande
carro armato urlano:-Oh my god! Lets go! Lets go!- Sentire quelle
parole ci mette speranza e senza parlare andiamo verso l’uscita. Sento delle
voci che urlano il mio nome e una persona che mi viene in contro. E’ mio padre,
forse è un sogno, ma forse no è la realtà è un miracolo di Dio che ci assiste
anche nei momenti di dolore. Da quel momento tutto : è finito, tutto è cambiato
e io sono ritornato a vivere senza nessuna paura.
Giorgia Quaresima
Federico Paoliani
Giorgia Quaresima
Federico Paoliani
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